Albert Saniger, il fondatore ed ex CEO della startup fintech Nate, sarebbe stato accusato formalmente di frode dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti. L’azienda, che prometteva un’esperienza di acquisto online “universale” e completamente automatizzata grazie all’intelligenza artificiale, si sarebbe rivelata in realtà basata quasi esclusivamente su lavoro umano.
Operatori umani al posto di tecnologie di AI
Fondata nel 2018, Nate aveva raccolto oltre 50 milioni di dollari da alcuni fondi di investimento. Il cuore dell’applicazione era la promessa che, con un solo clic, gli utenti potessero completare acquisti su qualsiasi sito e-commerce grazie all’AI. Secondo l’accusa, dietro le quinte centinaia di operatori in un call center nelle Filippine avrebbero però eseguito gli ordini manualmente al posto dell’intelligenza artificiale.
In questo modo Saniger avrebbe raccolto milioni di dollari per Nate dichiarando che il sistema operava in autonomia, salvo rari casi di malfunzionamento. In realtà, sempre a parere dell’accusa, il tasso di automazione sarebbe stato vicino allo 0. Questo nonostante l’azienda avesse assunto data scientist e acquisito alcune tecnologie AI. I primi dubbi sul reale funzionamento della piattaforma sarebbero stato poi sollevati per la prima volta nel 2022.
Nate non è l’unica startup accusata di aver mentito sulla AI
Stando all’atto d’accusa, Nate avrebbe già esaurito i fondi e sarebbe stata costretta a vendere i propri asset nel gennaio 2023, provocando perdite ingenti per gli investitori. Saniger non avrebbe però rilasciato commenti in merito.
Il caso di Nate non sarebbe comunque isolato. Di recente altre startup avrebbero ammesso di aver amplificato le proprie capacità in ambito AI. Tra di esse anche un’applicazione per il drive-through (per acquistare prodotti senza scendere dalla propria auto) e una società di legal tech (valutata come un “unicorno” quindi oltre il miliardo di dollari) accusate di dipendere ancora da operatori umani nonostante le (diverse) dichiarazioni dei dirigenti.