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AI: il (solito) ritardo italiano

Secondo una recente indagine di Roland Berger, l’italia sarebbe soltanto diciannovesima considerando i 20 paesi al Mondo in cui l’attività delle imprese è maggiormente concetrata sulle tecnologie per l’Intelligenza Artificiale. Alla Penisola mancherebbero in particolare startup innovative, segno di una scarsa propensione al rischio di investire in questo settore.

I numeri del nostro Paese sono naturalmente ben lontani da quelli degli Stati Uniti, ma considerando i differenti rapporti di forza dal punto di vista (non solo) economico, la distanza siderale che ci separa dagli USA, con 1.393 startup impegnate nell’AI contro le nostre 22, potrebbe apparire anche giustificabile.

Il discorso sarebbe però ben diverso se si operasse il medesimo confronto con uno stato relativamente piccolo come quello di Israele (362 startup attive, appena 21 in meno rispetto alla Cina). Rientrerebbero nelle prime 5 posizioni anche il Regno Unito e il Canada, che conterebbero rispettivamente 245 e 131 startup attive.

A parere dei ricercatori di Roland Berger l’Italia soffrirebbe della presenza di un sistema scolastico e di un mercato del lavoro ancora saldamente ancorati a dinamiche tradizionali, o più correttamente "datate". Ciò impedirebbe lo sviluppo di una cultura innovativa che premi coloro che si assumono i rischi di eventuali fallimenti.

Standoi a quanto riportato dall’ultima edizione del McKinsey report, da qui al 2030 l’AI porterà ad un incremento del prodotto interno mondiale di oltre 13 miliardi di dollari, con una crescita pari all’1.2% su base annua. Stando così le cose l’Italia rischia di perdere ancora una volta un’opportunità fondamentale per partecipare ai cambiamenti globali in atto.

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Claudio Garau
Claudio Garau
Web developer, programmatore, Database Administrator, Linux Admin, docente e copywriter specializzato in contenuti sulle tecnologie orientate a Web, mobile, Cybersecurity e Digital Marketing per sviluppatori, PA e imprese.

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