Come anticipato alcuni mesi fa Mountain View ha definitivamene pensionato la versione consumer di Google+, social network che (solo) nelle intenzioni dei suoi creatori avrebbe dovuto concorrere con alternative ben più affermate quali Facebook e Twitter. Forte di milioni di iscritti, ma debole in termini di partecipazione, la piattaforma chiude tra l’indifferenza generale.
Dalla parabola di Google+ si possono però imparare alcune lezioni su come anche una grande azienda, forze la più importante al Mondo, possa avventurarsi facilmente in un business fallimentare, dar vita ad un progetto da milioni di dollari con ritorni d’investimento praticamente nulli e, tutto sommato, mantenere intatto il prestigio del proprio brand.
I responsabili di Google+ avevano pianificato una strategia tanto semplice quanto apparentementte inattaccabile: milioni di persone dispongono di un Google Account, facciamo in modo che queste ultime siano automaticamente iscritte al nostro social network e tutto il resto verrà da sé. Cosa sarebbe potuto andare male? Più o meno tutto, basti pensare ad una media pari ad appena 5 secondi di permanenza per singola sessione da parte del 90% dei visitatori.
Google+ non presentava particolari novità rispetto a quanto già proposto dal mercato: like, possibilità di postare commenti, strumenti per la condivisione dei contenuti, possibilità di creare contatti con altri utenti e di far parte di gruppi che, nel caso specifico, prendevano il nome di "Cerchie". Perché frequentare e animare una sorta di clone di ciò che già esiste? Per nessun motivo in particolare, e così andarono le cose.
La piattaforma rimarrà disponibile per l’utenza di GSuite per la quale è riuscita nonostante tutto a rivelarsi un tool di comunicazione efficace. Nel corso dei prossimi mesi verranno rimossi tutti gli account Google+ esistenti ma, come precisato dalla casa madre, tali cancellazioni non avranno alcun effetto sugli altri servizi di Big G come per esempio GMail o GDrive.