Il movimento Black Lives Matter ha riportato in auge anche la discussione riguardante i termini informatici che potrebbero essere considerati razzisti da alcune minoranze, a tal proposito basti pensare a parole come "master" e "slave", utilizzate diffusamente in ambiente server, che alcune aziende hanno deciso di bandire in favore di alternative più corrette politicamente.
La polemica si sarebbe recentemente estesa anche alle definizioni "white hat" e "black hat" tradizionalmente utilizzate per definire gli hacker che operano eticamente e quelli che invece utilizzano le proprie competenze per azioni malevole spesso volte alla sottrazione di dati riservati o alla monetizzazione tramite attività di cyber crime.
In occasione della manifestazione Black Hat 2020, nuova edizione di una delle più note conferenze internazionali dedicate alla sicurezza, è stato chiesto agli organizzatori di modificare il nome dell’evento. Risposta negativa sarebbe però arrivata da questi ultimi che avrebbero ricordato come in "black hat" non vi sarebbe alcun riferimento di carattere razziale.
In questo caso infatti a parola "black" viene utilizzata per simboleggiare l’oscurità e, come ricordato dai portavoce dell’appuntamento, la scelta dei colori dipende dal fatto che nei film Western di vecchia data si usava far indossare un cappello nero ai personaggi negativi per distinguerli dai buoni abbigliati invece con un cappello bianco.
Probabilmente la contrapposizione intorno ai termini non avrebbe avuto eco se a lanciare la pietra in favore di definizioni più neutre non fosse stato David Kleidermacher, uno dei responsabili della divisione Engineering di Google, che in ogni caso avrebbe sottolineato come la sua sia una posizione personale e quindi non espressa in rappresentanza dell’azienda di Mountain View.
